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Diez universidades de América Latina entre las 500 mejores del mundo

Brasil, con seis instituciones en la lista, mantiene su lugar hegemónico a nivel regional

Universidad de Chile (Créditos: eleconomistaamerica.cl) 

Diez universidades de cuatro países de América Latina figuran entre las 500 mejores del mundo, según la clasificación de Shanghai publicada este viernes, que confirma la supremacía de Estados Unidos en la enseñanza superior.
Brasil, con seis instituciones en la lista, mantiene su lugar hegemónico a nivel regional. La Universidad de Sao Paulo es incluso la única de América Latina listada entre las 150 mejores del mundo.
Las otras brasileñas mencionadas en el "Top 500" de Shanghai son la Universidad Federal de Minas Gerais, la Federal de Río de Janeiro, la estatal de Sao Paulo, la estatal de Campinas y la federal de Río Grande Do Sul.
Mientras que Chile tiene dos universidades entre las 500 mejores (la Católica y la U de Chile), Argentina ostenta una sola, la Universidad de Buenos Aires (UBA), pero mejor calificada, en el rango de las 200 mejores, donde también figura la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM).
La edición 2014 de la clasificación universitaria mundial no aporta mayores cambios a la de 2013 y confirma la supremacía norteamericana.
Harvard es la mejor universidad del mundo, seguida por Stanford, el MIT y la Universidad de California.
Gran Bretaña es el otro país que integra el exclusivamente anglosajón club de las diez mejores, con la Universidad de Cambridge (quinto puesto mundial) y Oxford (noveno).
En Europa continental, el ETH de Zúrich (puesto 19), la Universidad Pierre y Marie Curie de París (35) y la Universidad de Copenhague, que desplaza a Paris-Sud en el lugar 39, son las tres mejores de la región.
España tiene 12 Universidades entre las 500 mejores del mundo, pero una sola, la Universidad de Barcelona, está en el grupo de las 200 mejores.
La Universidad de Tokyo (puesto 21) y la de Kioto (26) son las mejor calificadas en Asia.  
El índice de Shanghai se establece desde 2003 en la universidad Jiao Tong de Shanghai. Es muy seguido en el mundo entero, pero también objeto de críticas debido a su metodología.

Según los calificadores de Jiao Tong, la lista se basa "en una serie de indicadores objetivos e información suministrada por terceros".
La calificación se centra sobre todo en la investigación de ciencias exactas en detrimento de la enseñanza, mucho más difícil de cuantificar. 
Entre los criterios que usa figuran el número de premios Nobel que han obtenido los ex alumnos o los investigadores, el número de medallas Fields (equivalentes al Nobel en matemáticas), así como el número de artículos publicados en revistas exclusivamente anglosajonas como "Nature" y "Science".
Se evalúan anualmente un total de 1.200 universidades de todo el mundo, pero sólo se publica la lista de las 500 mejores.
Leer,más,en  http://www.ultimasnoticias.com.ve/noticias/actualidad/mundo/diez-universidades-de-america-latina-entre-las-500.aspx#ixzz3CtgSTOpk

Mangiare quinoa, il cibo della salute, è davvero sostenibile?

By Agnese Tondelli Descrizione: quinoa

Conosciuta anche come “Il seme d’oro degli Incas”, la quinoa è un alimento ricco di benefici per la salute, è versatile, leggera, ricca di proteine e di altri nutrienti essenziali.

Il consumo di questo cereale, negli ultimi anni, è aumentato drasticamente e, nel 2013, persino la Fao ha celebrato un anno dedicato allaquinoa, considerato il cibo che può sradicare la fame, la malnutrizione e la povertà. Ma la sua diffusione su larga scala nel mercato internazionale potrebbe non essere un beneficio per tutti.

Quasi tutta la produzione attuale di quinoa è in mano a piccoli agricoltori e associazioni. Con più di 5mila anni di storia alle spalle, questo alimento sembra incarnare il paradigma della biodiversità e della sovranità alimentare, perché ha grandi proprietà nutritive, perché ha sfamato popolazioni e perché è una pianta particolarmente resistente, con un’alta variabilità morfologica; inoltre, è stata prodotta con pratiche sostenibili, rispettose di ecosistemi fragili.

Non molto tempo fa, la quinoa era un piccolo alimento sconosciuto facente parte della cultura peruviana, molto difficile da reperire in altri luoghi; fino a quando non sono stati riscoperti i suoi alti valori nutritivi e il suo basso contenuto di grassi.

Chi non mangia carne, ad esempio, consuma quinoa, grazie al suo contenuto di proteine e di tutti quegli aminoacidi essenziali per la salute. Così, le vendite di questo alimento sono decollate, facendolo entrare a pieno titolo nel marketing mondiale degli alimenti salutari e adatti a tutti, anche a vegetariani e vegani.

Questo decollo, però, ha portato a delle conseguenze importanti, soprattutto per i piccoli produttori boliviani. Dal 2006 in poi, infatti, come evidenzia il Guardian in un vecchio articolo del 2013, il prezzo della quinoa è aumentato vertiginosamente, fino a triplicare.

L’appetito e l’aumento della richiesta da parte dei Paesi esteri hanno spinto i prezzi che le persone più povere del Perù e della Bolivia, per i quali una volta la quinoa era una vera e propria manna nutrizionale, non possono più permettersi di mangiarla.

Negli ultimi 20 anni, ad esempio, in Bolivia (che è il primo produttore a livello mondiale), l’area destinata alla coltura della quinoa è passata da 10.000 a 50.000 ettari. Attualmente, il 90% della produzione è destinato all’esportazione. Così, sul mercato boliviano il suo prezzo è diventato quattro volte superiore rispetto a quello del riso o di altri cereali.

A Lima, si legge sul Guardian, la quinoa costa più del pollo. Non solo, la crescita di domanda mondiale ha portato a trasformare terreni precedentemente interessati in colture diverse, a essere coltivati esclusivamente per produrre quinoa.

Secondo la Fao, “il boom di quinoa, inoltre, pone alcune sfide, tra cui il degrado del territorio e la riduzione delle varietà coltivate. Più del 50% degli agricoltori definisce il terreno più povero rispetto a tre anni fa. Questo ha un impatto su altre attività agricole, per esempio, il rapporto tra numero di lama ed ettari coltivati ​​è diminuito negli ultimi anni. Inoltre, solo tre varietà ricoprono oltre il 75% dell’intera produzione, perché sono i più richiesti dal settore delle esportazioni. Questa riduzione di varietà coltivate è associata ad una riduzione della biodiversità”.

Involontariamente quindi la scelta di alcuni consumatori di premiare la salute e le buone intenzioni etiche hanno portato a danneggiare la sicurezza alimentare del Paese produttore di questo alimento.

Se una parte della popolazione mondiale, la più debole, è costretta a ripiegare su altri cereali più convenienti, come il mais o il riso, perché non può più permettersi il prodotto tipico locale che prima la sfamava, è necessario iniziare a porsi qualche domanda.

Se la quinoa è un alimento che è stato celebrato per la sua possibilità di sfamare il mondo e ridurre i casi di malnutrizione, è necessario assicurarsi che sia accessibile a tutti, soprattutto alla popolazione locale che ne ha bisogno. Fuori quindi dagli schemi di mercato che stanno trasformando questo alimento in un “lusso”.

Come evidenziato da Slow Food, “La speranza è che i tanti incontri con i rappresentanti degli stati produttori portino a riflettere su questi aspetti delicati e problematici, sul tema del prezzo, sul rischio di trasformare un prodotto sostenibile nell’ennesima commodity coltivata in grandi appezzamenti. La speranza è che davvero la quinoa possa contribuire a diminuire il tasso di denutrizione nazionale e che i governi degli stati produttori la inseriscano su vasta scala nelle mense scolastiche e la rendano accessibile alle fasce più deboli della popolazione. Solo così si potrà parlare di un prodotto davvero buono, pulito e giusto”.

(Foto: Francisca Ulloa)

En Bolivia piden vender energía a la Argentina a precio del gas

ArgentinaBolivia

El planteamiento se debe a que el ministro de Hidrocarburos y Energía informó que el 15 de este mes, técnicos de alto nivel de los gobiernos de Argentina y Bolivia tendrán una reunión, en la que se hablará de los precios de exportación de electricidad a ese país.

Según la autoridad, en la actualidad la oferta de energía eléctrica en el país es de unos 1.500 MW y la demanda está alrededor de los 1.200 MW.

Expertos en energía sugieren que el precio de exportación de electricidad a la Argentina sea similar al del gas que se comercializa al vecino país. Además, consideran que para vender el producto a otros mercados como Brasil y Perú se deberían construir plantas en las fronteras.

El planteamiento de los expertos se debe a que el ministro de Hidrocarburos y Energía, Juan José Sosa, informó que el 15 de este mes, técnicos de alto nivel de los gobiernos de Argentina y Bolivia tendrán una reunión, en la que se hablará de los precios de exportación de electricidad a ese país y de las inversiones que deben realizar ambas partes en sus territorios para interconectarse.

El domingo, en el programa El pueblo es noticia, que se difunde por medios estatales, Sosa informó que Bolivia está en capacidad de vender este año a la Argentina 100 megavatios (MW) de energía eléctrica por día e incrementar paulatinamente la potencia a medida que entren en operaciones otros proyectos.

Ante estos anuncios, el experto en estos temas y exgerente interino de la Empresa Nacional de Electricidad (Ende), Nelson Caballero, indicó a La Razón que el precio de exportación de energía eléctrica debe ser similar al del gas natural.

Para argumentar su propuesta, Caballero explicó que los precios de electricidad en Bolivia están subsidiados porque las empresas generadoras de electricidad le compran gas natural —a precios subsidiados— y de manera directa a la estatal Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos (YPFB) para producir electricidad.

“En tarifas de electricidad, un parámetro importante es el precio del gas; para el sector eléctrico (en Bolivia) el precio del gas está subsidiado, entonces para temas de exportación (de energía eléctrica) obviamente hay que tomar en cuenta el gas de exportación, no el subsidiado”, manifestó el exgerente interino de ENDE.

Caballero añadió que es necesario que se tome en cuenta el precio del gas de exportación para que sea equivalente la venta de electricidad. “No tendría sentido si uno va a tomar un precio más bajo, sino sería mejor vender gas nomás, pero si uno va a tomar en cuenta el gas de exportación, ahí sí vale la pena pensar en la exportación de electricidad”. Datos de YPFB publicados en el Programa de Inversiones 2014, y difundidos en enero en un seminario, indican que el precio del gas de exportación a Argentina será en promedio US$10 el millar de BTU (Unidad Térmica Británica por sus siglas en inglés).

El 29 de abril de 2014, en la inspección al avance de las obras de la Termoeléctrica del Sur, ubicada en Yacuiba, Tarija, el ministro Sosa adelantó que el precio referencial de exportación de energía eléctrica estaría por encima de US$120 el kilovatio hora (KWh).

Generación. El 2 de enero de este año, en la inauguración del parque elólico en Collpana, Cochabamba, el titular de Hidrocarburos informó que el 65% de la energía eléctrica en Bolivia es generado por termoeléctricas, en cuyo proceso de obtención de electricidad se quema gas natural, y que el restante 35% viene de las hidroeléctricas. Se planea revertir esos porcentajes a futuro con otros proyectos.

El presidente del Colegio de Electrónicos y Electricistas de Bolivia, Jaime Jiménez, consideró que es factible vender a la Argentina en este momento porque la Termoeléctrica del Sur se encuentra muy cerca de la frontera con ese país. “La ubicación estratégica ayuda mucho a esa venta”, manifestó el profesional a este medio.

Jiménez añadió que para exportar energía eléctrica a Brasil y Perú, el gobierno debería invertir en la construcción de plantas generadoras de electricidad en poblaciones cercanas o fronterizas con esos países.

La Termoeléctrica del Sur de Tarija generará 160 megavatios (MW) en su fase I; en la segunda, otros 160 MW; y 160 en la tercera, porque se aprovechará el calor de los caños de escape de las turbinas de la fase I y II. “Con el vapor llegaremos al 50% de los 320 MW y alcanzaremos los 480 MW”, indicó el ministro Sosa el 3 de septiembre.

Según la autoridad, en la actualidad la oferta de energía eléctrica en el país es de unos 1.500 MW y la demanda está alrededor de los 1.200 MW. Vale decir que el excedente o reserva llega al 20% (300 MW). Hasta 2020 se prevé tener una potencia de 3.000 MW con la ejecución de proyectos y una demanda de 2.000 MW, lo que arrojaría un excedente de 1.000 MW.

Mercados con crisis energética  Necesidad

El 19 de enero de este año, en el programa El pueblo es noticia, difundido por los medios de comunicación estatales, el presidente Evo Morales señaló, sin mencionar nombres, que hay países vecinos con crisis energética a los cuales se podría exportar entre 100 y 200 megavatios (MW) de energía eléctrica, lo que podría traer ingresos para Bolivia.

 

 Joan Manuel Serrat es nombrado Persona del Año de la Academia Latina

 

 

 

 

 

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El nombramiento será acompañado de un show donde estrellas de la canción latina homenajearán al artista catalán el próximo 19 de noviembre en Las Vega.

El cantante y compositor español Joan Manuel Serrat, fue reconocido como la Persona del Año 2014 por La Academia Latina de la Grabación, la misma que escoge y otorga los premios Grammy en español.

"Su profunda y brillante estilo de composición, su poesía tanto en español y catalán, su estilo lírico aunado a su único y magnífico talento convierten a Joan Manuel Serrat en una figura musical atesorada y de leyenda", señaló Gabriel Abaroa Jr., Presidente de la Academia Latina de la Grabación."A través de su talento, arte, pasión y dedicación a su oficio, su obra ha llegado a sus admiradores por el mundo. Es un privilegio poder reconocer a un hombre con una carrera tan ilustre y socialmente consciente, y esperamos ansiosamente esta celebración a su creatividad y legado", agrega el comunicado.

 

Elogiado por sus logros artísticos y sociales, así como por sus contribuciones a la cultura Ibero-Americana por la entidad, Serrat será homenajeado con una celebración estelar con otros cantantes y estrellas de la música en español el próximo miércoles 19 de noviembre en el Mandalay Bay Convention Center de Las Vegas.

En la sesión sonarán clásicos del cancionero de Serrat interpretados por invitados especiales y se vivirá la previa de la entrega de premios Grammy Latinos el día 20.

El caballero azul grana

Nacido en Barcelona, España, Serrat comenzó a incursionar en la música cuando era adolescente y rápidamente desarrolló el deseo de escribir y cantar. En 1965, mientras cantaba en el programa de radio español Radioscopio, Serrat aseguró su primer contrato discográfico.

Como parte de una generación de artistas políticamente abiertos, Serrat es conocido por sus fuerte postura política que lo llevó a negarse a seguir las órdenes del dictador Francisco Franco de interpretar una canción en español, en lugar de su versión original en catalán durante el Festival de Eurovisión en 1968.

Como la Persona del Año 2014 de la Academia Latina de la Grabación, Serrat se une a la lista de  homenajeados en la que figuran Miguel Bosé, Plácido Domingo, Gloria Estefan, Gilberto Gil, Juan Luis Guerra, Carlos Santana, Shakira y Caetano Veloso, entre otros.

 

 Chile evalúa recibir a presos de Guantánamo

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Chile

Varios parlamentarios expresaron su rechazo a la posibilidad de que el gobierno de la presidenta Michelle Bachelet reciba en Chile a presos provenientes desde la cárcel de Guantánamo.

El presidente estadounidense, Barack Obama, solicitó al gobierno chileno y a otros latinoamericanos que reciba algunos detenidos en esa base.

 

 

 

 

 

El gobierno de Chile evalúa la posibilidad de acoger a presos recluidos en la cárcel de la base militar estadounidense de Guantánamo, Cuba.

"En nuestro país se está realizando un proceso de evaluación de esta solicitud norteamericana", aseguró este lunes el director jurídico de la Cancillería chilena, Claudio Troncoso.

El presidente estadounidense, Barack Obama, solicitó al gobierno chileno y a otros latinoamericanos que reciba algunos detenidos en esa base después del ataque terrorista a las Torres Gemelas de Nueva York y la invasión de Estados Unidos a Irak. En América Latina, sólo Uruguay ha aceptado recibir a seis presos.

En esa base militar, ocupada por Estados Unidos, hay 149 presos de distintos países del Medio Oriente, quienes llevan años sin que se les juzgue por sus supuestos crímenes.

Previamente, varios parlamentarios expresaron su rechazo a la posibilidad de que el gobierno de la presidenta Michelle Bachelet reciba en Chile a presos provenientes desde la cárcel de Guantánamo.

El senador opositor de la Unión Demócrata Independiente (UDI), Iván Moreira, y el diputado del oficialista Partido por la Democracia (PPD), Jorge Tarud, dijeron que sería "altamente inconveniente y de alto riesgo" que se acepte la solicitud de Washington.

Ambos coincidieron en que si se acepta esta solicitud, podría tener efectos colaterales a ser reos vinculados a delitos terroristas, que han estado incluso involucrados, por ejemplo, en el atentado a las Torres Gemelas, en Nueva York.

Moreira precisó que "Chile no debe hacerse cargo de una promesa de campaña del presidente (Barack) Obama. Es impresentable y espero que el gobierno lo descarte definitivamente".

Por su parte, el presidente del Partido Comunista, Guillermo Teillier, declaró este martes que acoger presos de Guantánamo es ser cómplices de torturas de Estados Unidos.

"Después de diez o más años de tener a esas personas secuestradas y torturadas, y ahora que son inocentes piden a una serie de países que los acojan, si los recibimos, seríamos cómplices de todas las atrocidades, de los secuestros y torturas que comete a diario Estados Unidos", explicó.

No obstante, aclaró que si existe una solicitud de los propios presos o de sus familiares para ser recibidos en Chile, se estaría en condiciones de discutir y acoger la petición humanitaria. "En caso de razones humanitarias, nosotros estamos dispuestos a acogerlos".

Teillier agregó que "los presos que se encuentran en Guantánamo han sido víctimas de violaciones atroces de sus derechos humanos por parte de Estados Unidos. Si la solicitud que realiza ese país es una imposición, nosotros la rechazamos".

Colombia Desde diciembre Avianca tendrá vuelos diarios entre Bogotá y Barcelona Descrizione: http://www.americaeconomia.com/sites/default/files/imagecache/foto_nota/avion_avianca1_2.jpg

ColombiaEspaña

La aerolínea colombiana eleva así de cuatro a siete sus frecuencias semanales entre ambas ciudades.

Según Avianca, "con la nueva oferta de vuelos, los viajeros tendrán a su disponibilidad 3.528 sillas semanales entre Bogotá y Barcelona".

La aerolínea colombiana Avianca anunció este martes que a partir del próximo 18 de diciembre ofrecerá un vuelo diario entre Bogotá y Barcelona (España), con lo que eleva de cuatro a siete sus frecuencias semanales entre ambas ciudades.

"El incremento de frecuencias en la ruta Bogotá-Barcelona-Bogotá hace parte del plan de fortalecimiento de la red de rutas que viene adelantando la aerolínea desde y hacia puntos en Europa", detalló la compañía aérea en un comunicado.

Según Avianca, "con la nueva oferta de vuelos, los viajeros tendrán a su disponibilidad 3.528 sillas semanales entre Bogotá y Barcelona".

Esta ruta entre los aeropuertos Eldorado de Bogotá y El Prat de Barcelona será operada con aeronaves Airbus A330, con capacidad para 252 pasajeros.

 Colombia Presidente colombiano destaca iniciativa "Soy capaz" que busca la reconciliación

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Juan Manuel Santos afirmó que la iniciativa "Soy capaz" ayuda a la reflexión y para que las personas conozcan la importancia del perdón.

El gobierno del presidente Santos inició a finales de 2012 un proceso de paz con las FARC.

El presidente colombiano, Juan Manuel Santos, destacó la campaña "Soy capaz" creada por sectores sociales y medios de comunicación del país sudamericano, iniciativa que busca la reconciliación entre las personas.

"Yo pienso que esta campaña, que además aplaudo y felicito a todos los que han venido organizando y participando de la campaña, es una gran iniciativa, una iniciativa espontánea del sector privado, de la ciudadanía. Por eso una de las cosas que tengo que hacer es que soy capaz de esperar a que esto madure y después del Gobierno se une a la campaña", sostuvo Santos.

Navegador Semántico

Entidades Mencionadas

Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC)

Personas Mencionadas

Juan Manuel Santos

"Entonces por ahora lo que quiero hacer es aplaudir, decir lo importante que es que las sociedades, que las comunidades, tengan ese tipo de iniciativas. Esta de 'Soy capaz' me pareció muy acertada. Estoy seguro de que le va a dar la vuelta al mundo, porque es una iniciativa muy ingeniosa además", añadió.

Las declaraciones del presidente Santos fueron hechas durante un programa en un canal estatal.

El jefe de Estado afirmó que la iniciativa "Soy capaz" ayuda a la reflexión y para que las personas conozcan la importancia del perdón.

"Yo no me canso de repetir que nosotros nos acostumbramos a la guerra. Lo que hemos descubierto, eso lo descubrimos recientemente, que es algo inverosímil, es que mucha gente le tiene miedo al cambio, le tiene miedo a dar el paso hacia la paz", aseveró.

"Por eso concientizar a la gente de que somos capaces de perdonar, somos capaces de cambiar, somos capaces de ver la vida otra forma, somos capaces de respetar las diferencias, somos capaces de convivir con quienes no están de acuerdo con nosotros, todo eso es algo que poco a poco tenemos que ir alimentando en el subconsciente de todos los colombianos. Eso nos va a facilitar dar ese paso, esa transición hacia la paz", puntualizó.

El gobierno del presidente Santos inició a finales de 2012 un proceso de paz con la guerrilla de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Las negociaciones de paz se realizan en La Habana, Cuba. Analistas: una posible victoria de Silva en Brasil genera dudas en Uruguay

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BrasilUruguay

Marina Silva ha sacado a relucir la cuestión económica y pide mayor apertura comercial para Brasil como forma de salir del estancamiento.

En su programa de gobierno, Silva delinea los puntos centrales de su política de comercio exterior, sin mayores detalles.

Brasil está viviendo una de las campañas electorales más particulares de su historia. Con una economía en recesión, con un crecimiento marginal de su patrimonio desde hace más de tres años, de repente vio cómo una candidata salía del fondo de su casa –tras la muerte de Eduardo Campos– para liderar las encuestas frente a la presidenta Dilma Rousseff, quien busca su reelección.

Marina Silva ha sacado a relucir la cuestión económica y pide mayor apertura comercial para Brasil como forma de salir del estancamiento, una intención que, sin embargo, no genera mayor confianza entre los expertos. La abanderada por la oposición es una incógnita en ese sentido, aseguran, por más que cuente con el respaldo de los mercados y se presente como una alternativa ante la desgastada Dilma y el Partido de los Trabajadores (PT).

Por ejemplo, el real brasileño apunta a debilitarse en 2015 por las perspectivas de tasas de interés más altas en Estados Unidos, pero la creciente probabilidad de una victoria de Silva en las elecciones podría suavizar la depreciación de la moneda, según un sondeo de Reuters.

“Con Lula y Dilma hemos tenido una muy buena relación, con bastante acercamiento. No se han conseguido muchas cosas, pero al menos ha habido buen diálogo. Esperemos que sea igual (si gana Marina Silva), pero habrá que ver cuál será su política sobre el relacionamiento internacional. Si bien no vemos nada negativo ahora, hay cierto grado de incógnita, porque no ha sido muy clara en planteos específicos de política exterior”, dijo a El Observador, Álvaro Queijo, presidente de la Unión de Exportadores (UEU) y gerente general de CristalPet, firma que comercializa plásticos con Brasil.

En su programa de gobierno, Silva delinea los puntos centrales de su política de comercio exterior, sin mayores detalles. Entre ellas, habla de ampliar los horizontes de integración productiva y de comercio con América del Sur en general, no solo con el Mercosur; de potenciar la internacionalización de las empresas brasileñas y acercarlas a las cadenas globales de producción; y de actuar activamente en la formación de acuerdos comerciales que incluyan los principales bloques comerciales del mundo, como Estados Unidos, Europa y Asia, para facilitar las importaciones y abrir mercado de exportación.

La exministra de Lula, que renunció en su momento por discrepancias en torno a las políticas medioambientalistas del PT, también propone una reforma tributaria, una reforma agraria, propuestas para reducir la inflación –6,51% en agosto, sobre el límite del rango–, y llama a fortalecer la industria y a acometer obras de infraestructura, “un tema prioritario y una de las cuestiones que han opacado el crecimiento económico brasileño”, según el programa de gobierno de Silva. Brasil prevé crecer entre el 2,5% y el 3% este año, lo que significaría una mejora con respecto a los años anteriores, pero lejos de la expansión registrada, de 7,5%, en 2010.

El crecimiento de la economía brasileña solo fue de 2,7% en 2011 y de 0,9 % el año pasado. La tasa de desempleo sigue cercana a mínimos históricos, en torno al 5%, algo que Dilma recuerda con asiduidad como uno de los éxitos de los 12 años que lleva el PT en el poder. De cualquier modo, se están perdiendo empleos: la construcción civil, que creó un promedio de 200 mil empleos por año desde 2010 a 2013, ha agregado apenas 18 mil empleos netos en los últimos 12 meses, a medida que los grandes desarrolladores del país disminuyen los nuevos proyectos debido a la débil demanda.FriccionesDurante el debate televisivo que tuvo lugar la semana pasada, la economía se llevó la mayor parte de los minutos, donde se registraron encontronazos entre Rousseff y Silva.

Allí la presidenta acusó a su contrincante de plantear una política económica que generaría desempleo y subrayó que Silva no ha presentado planes para apoyar la política que propugna, que contemplaría una elevación del gasto público en salud y educación. En otra oportunidad, la líder del PT dijo estar “muy preocupada” por sus propuestas para la industria, porque podrían significar despidos masivos si hay una mayor apertura comercial de Brasil.

El analista económico Marcel Vaillant dijo a El Observador que esa supuesta apertura comercial de Brasil será difícil de ver en un país que primero debe resolver urgentes problemas internos, que ha desechado mejorar el Mercosur y que se ha aislado del mundo. “El Mercosur es intrascendente para Brasil, más que para cualquiera”, indicó el asesor del Partido Independiente. “Lo que se sabe es que Marina”, continuó Queijo, titular de la UEU, “es una defensora de medioambiente y, por lo tanto, quizá aliente algún tipo de industria de que cuide el medioambiente”. Pero no está seguro que esa apertura comercial lleve más intercambio con Uruguay.Vaillant habla de una situación política “rara”, con la incursión de Silva en la campaña electoral, que se suma a la peculiaridad de la política brasileña. “Brasil siempre ha funcionado en un esquema de coalición de partidos. Eso da una cuestión muy peculiar y Marina puede coaligar para cualquier lado”, dijo. Respecto a lo que pueda venir en el futuro próximo, dijo que sería “temerario” brindar un análisis y señaló que, a priori, un gobierno de Silva genera “incertidumbre”.

Uruguay

Intención de voto por el conglomerado oficialista uruguayo sube levemente Descrizione: http://www.americaeconomia.com/sites/default/files/imagecache/foto_nota/uruguay_eleccion_1.jpg

En caso de que hubiera balotaje entre el ex presidente Tabaré Vázquez y Lacalle Pou en noviembre, 48% de los encuestados respondió que votaría al candidato por el FA, 44% respondió que elegiría al candidato del PN y 8% se encuentra indeciso.

En agosto, el partido liderado por Tabaré Vázquez presentó 42% de intención de voto.

El Frente Amplio (FA) -el conglomerado oficialista uruguayo- frenó la caída en intención de voto que sufrió desde enero de este año, período durante el cual pasó de tener 44% de encuestados que los votarían, a  41% en julio, según registró Opción Consultores. En agosto, el partido liderado por Tabaré Vázquez presentó 42% de intención de voto, aumentando un punto desde la encuesta anterior, realizada en julio.

Por su parte, Luis Lacalle Pou, candidato del Partido Nacional (PN), sigue registrando aumentos en la intención de voto de los encuestados, pasando de 32% en julio, a 33% en agosto.

El candidato por el Partido Colorado (PC), Pedro Bordaberry, presentó un descenso de tres puntos en la intención de voto para su partido, y pasó de 14% en julio a 11% en agosto.

El Partido Independiente presentó un aumento de un punto entre julio y agosto, pasando de 2% en la intención de voto para su partido a 3%.

Según la encuesta, 1% de los encuestados respondió que votaría a otros partidos, 7% votaría en blanco o anulado y 3% respondió que aún no sabe.

En caso de que hubiera balotaje entre Tabaré Vázquez y Lacalle Pou en noviembre, 48% de los encuestados respondió que votaría al candidato por el FA, 44% respondió que elegiría al candidato del PN y 8% se encuentra indeciso.

En el caso de que el balotaje se diera entre Tabaré Vázquez y Pedro Bordaberry, las chances para el candidato por el FA aumentan, con 51% en la intención de voto, mientras que el candidato por el PC registró 37%.

Perú

Primeras cinco estaciones de la Línea 2 del Metro de Lima se entregarán el 2016

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Así lo sostuvo el ministro de Transportes y Comunicaciones, José Gallardo, junto con agregar que este viernes 19 de septiembre se dará inicio a la construcción de las obras.

Recordó que el objetivo del sector es su funcionamiento total para el 2019, año en que los Juegos Panamericanos se realizarán en el Perú.

Lima. El ministro de Transportes y Comunicaciones, José Gallardo, anunció hoy que las primeras cinco estaciones de la Línea 2 del Metro de Lima, que unirá Ate con El Callao, serán entregadas el 2016.

Agregó que el viernes 19 de setiembre se dará inicio a la construcción de las obras y se colocará la primera piedra en el patio taller del distrito de Santa Anita.

"Lo que tenemos ahora como meta es empezar con las obras. Ese día (19 de setiembre) vamos a colocar la primera piedra, para marcar el primer hito en el 2016, con cinco estaciones entregadas al servicio de la población", afirmó.

Recordó que el objetivo del sector es su funcionamiento total para el 2019, año en que los Juegos Panamericanos se realizarán en el Perú, y por lo cual, va tomar tiempo tenerla lista y de manera no solo completa, sino óptima.

"La obras comienza ya, y con el concesionario tenemos un par de adendas, que están yendo por cuerdas separadas. La adenda operativa va estar resuelta más pronto; la adenda financiera, va tomar solo un poco más de tiempo", expresó.

La semana pasada, Gallardo adelantó que tenían como compromiso iniciar estas obras del primer subterráneo del Perú (que recorrerá 13 distritos, con un ramal hacia el Aeropuerto Internacional Jorge Chávez), precisamente en la quincena de este mes.

El ministro brindó estas declaraciones durante su participación en la ceremonia de inauguración del IV Congreso Regional IRF, Latinoamericano de Carreteras, que culminará el miércoles 10 de setiembre.

Reiteró que para el Gobierno del Perú el avance y crecimiento de la infraestructura vial es un tema esencial en su visión de desarrollo.

 

Turismo en el Perú crecerá más que en la región en próximos diez años

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PerúEl presidente y director ejecutivo del WTTC, David Scowsill, señaló que el crecimiento de la clase media en el Perú y en la región favorece el dinamismo del turismo en América Latina.

Manifestó que las perspectivas de crecimiento del turismo en Latinoamérica son muy buenas y la región tiene que prepararse para la recepción de un mayor número de visitantes.

Lima. El turismo en Perú crecerá 6,1% anual en los próximos diez años y mostrará un mayor dinamismo que el promedio la región que se expandirá a un ritmo de 4%, proyectó el Consejo Mundial de Viajes y Turismo (WTTC, por sus siglas en inglés).

El presidente y director ejecutivo del WTTC, David Scowsill, señaló que el crecimiento de la clase media en el Perú y en la región favorece el dinamismo del turismo en América Latina.

"Quizá la mayor influencia que estamos viendo en el crecimiento turístico en Latinoamérica proviene de todas estas personas que se incorporan a la clase media y empiezan a viajar", indicó en declaraciones a la agencia Andina.

Manifestó que las perspectivas de crecimiento del turismo en Latinoamérica son muy buenas y la región tiene que prepararse para la recepción de un mayor número de visitantes.

Señaló que hasta el año pasado el turismo generó 17 millones de puertos de trabajo en la región, de los cuales 1,1 millones se crearon en el Perú.

En tanto que la ministra de Comercio Exterior y Turismo (Mincetur), Magali Silva, refirió que, de esta manera, en los próximos diez años el turismo en el Perú se expandiría a un ritmo de crecimiento similar al del Producto Bruto Interno (PBI) potencial del país.

Destacó, asimismo, que el turismo en el Perú crecería por encima del promedio de la región, debido a que otros países vecinos tienen un mayor nivel de desarrollo turístico, como México, Brasil y Argentina.

"El Perú, tal vez junto a Colombia, somos de los países que recién estamos despertando al crecimiento del turismo en la región, en el caso del Perú haciendo justicia a los recursos arqueológicos que tenemos, entre otros atractivos", sostuvo.

Añadió que debido a la falta de desarrollo de una infraestructura adecuada no se ha logrado un mayor flujo de visitantes.

De otro lado, Scowsill anotó que los más importantes ejecutivos y expertos del turismo mundial se darán cita en Lima, ciudad que será la sede de la Cumbre de las Américas 2014 del WTTC, del 10 al 12 de setiembre.

Esta cumbre regional reafirmará el posicionamiento de la ciudad de Lima como centro de grandes eventos internacionales.

Participarán directores ejecutivos de cadenas hoteleras globales y regionales, aerolíneas líderes a escala mundial, tour operadores y líderes de opinión.

Durante un día y medio de conferencias y entrevistas, los líderes del sector turismo y ministros de gobierno de toda América se reunirán con los principales ejecutivos de los sectores público y privado, además de organizaciones no gubernamentales, líderes de opinión, académicos y medios de comunicación, para discutir los retos más apremiantes que enfrenta la industria en las Américas.

Scowsill mencionó, finalmente, que, coincidentemente, el evento se realizará en paralelo a la feria gastronómica Mistura, que también cobrado relevancia en el mundo.Silva apuntó, por su parte, que un seminario como el que se inicia mañana da la oportunidad de mostrar el país como un potencial turístico importante."En el marco de este seminario le diría a los inversionistas que el Perú es un país con un importante potencial turístico y que se animen a invertir que los está esperando", dijo.

 Venezuela

Gobierno de Venezuela anuncia "sacudón" en el ministerio de Educación

Descrizione: http://www.americaeconomia.com/sites/default/files/imagecache/foto_nota/venezuela_caracas2_33.jpg

El ministro del área, Héctor Rodríguez, afirmó que "el Ministerio que tenemos no sirve, hay que sacudirlo completamente con madurez política".

Rodríguez discutió con los jefes de las zonas educativas el inicio del año escolar 2014-2015.

Durante la reunión celebrada este martes con los jefes de las zonas educativas, el ministro para la Educación, Héctor Rodríguez, informó de la necesidad urgente de reformar esta cartera, por lo que anunció que, en las próximas semanas, el ministerio de será objeto de un "sacudón".

"El Ministerio hay que seguirlo transformando, el Ministerio que tenemos no sirve, hay que sacudirlo completamente con madurez política porque cualquier decisión premeditada puede generar un descalabro en la educación de nuestro hijos e hijas", puntualizó Rodríguez, destacando que la cartera que preside se ha planteado la tarea de "hacer un país" situación que, a juicio del ministro, no se puede llegar con la infraestructura actual dentro de dicho ministerio.

Rodríguez discutió con los jefes de las zonas educativas el inicio del año escolar 2014-2015. En este sentido, insistió a los maestros en la necesidad de reorganizarse para eliminar debilidades, además de la puesta en práctica de un proceso interno de reflexión.

 

Disordini in Venezuela alessandra_riccio febbraio 20, 2014

Il quotidiano di Caracas El Nacional, intitolava nei giorni scorsi il suo editoriale "Cubanos go home" e dava la notizia che un contingente di "fucilieri", addestrati a reprimere le manifestazioni di piazza "una specialità nella quale hanno dato prova di grande efficacia e crudeltà", era partito dall’Avana con destinazione Caracas. Davvero una notizia sballata visto che a Cuba nei più di cinquanta anni di governo "castrista", le manifestazioni di piazza represse da corpi speciali o no, non si sono mai viste. Comunque, la notizia serve ad acuire le tensioni che stanno attraversando il Venezuela nell’ultima settimana. A tanta distanza, non è facile capire come stanno veramente le cose, e non aiutano certo le documentazioni fotografiche sulle quali ormai sappiamo bene quanto sia facile falsificarle.

Il sito di Rebelión (http://www.rebelion.org/noticia.) dà conto di una serie di foto attribuite agli attuali disordini in Venezuela che invece sono state prese in tempi diversi in Siria, in Egitto, in Spagna e in Cile. E’ davvero utile dargli un’occhiata per capire che oggi come oggi non possiamo neanche più credere a quel che vedono i nostri occhi. Le notizie più recenti ci informano che Obama ha fatto appello al governo di Maduro perché rilasci tutte le persone detenute a seguito delle manifestazioni antigovernative di questa settimana. In quel "tutti", immagino sia compreso il capo delle sommosse Leopoldo López, che si è appena consegnato alle autorità in una scenografia ben costruita, vestito di bianco e con un fiore in mano, accompagnato dai suoi seguaci e mostrandosi piangente nel momento del suo arresto. Non sembra la stessa persona che, durante il golpe contro Chávez del 2002, aveva fatto irruzione nella casa del ministro degli Interni e della Giustizia, Ramón Rodríguez Chacín, di sua moglie e dei sui figli di sei e nove anni e li aveva esposti alla rabbia popolare, arrestando il ministro ormai ridotto in cattive condizioni. In quell’epoca, López era ormai tornato dagli Stati Uniti dove la sua famiglia gli aveva consentito un’istruzione di primo ordine nell’esclusivo Kenyon College, molto stimato dalla CIA per come educa i suoi studenti. Ha poi frequentato la Kennedy School of Governement presso l’Università di Harvard. Tornato in patria, López entra in politica nel movimento Primero Justicia, oggi guidato da Henrique Capriles, sfidante di Maduro nelle ultime elezioni e oggi contrario ala politica avventuristica di Leopoldo López. Ha poi partecipato al golpe contro Chávez del 2002, si è fatto notare durante le proteste del 2004 nel Chacao di cui era sindaco e ha poi fondato un suo movimento, Voluntad Popular, e promuove le "Redes Populares", finanziate dalla USAID. Il Tribunale Supremo di Giustizia lo ha condannato a sei anni di proibizione di occupare incarichi di elezione popolare dopo che si era liberato delle imputazioni che gli erano toccate per il caso del Ministro della Giustizia, grazie a un indulto concesso da Chávez.

Oggi López, che ha guidato le violente manifestazioni dei giorni scorsi, si è consegnato alla giustizia dopo averlo annunciato in un video e facendosi ritrarre di bianco vestito, con un fiore in mano e le lacrime agli occhi.

Articolo di Alessandra Riccio

 

L’Ambasciata degli Stati Uniti in Brasile e i medici cubani ,Ormai è una realtà. Circa 6.000 medici di Cuba prestano cure sanitarie a intere popolazioni degli stati del nord e del nordest del Brasile, che vivono in condizioni di isolamento e di estrema povertà. Su questo, fino ad ora, non abbiamo letto un solo reportage nella grande stampa brasiliana e internazionale.Invece è stata notizia in decine di media di tutto il mondolo show organizzato da una sola persona, la dottoressa cubana Ramona Rodríguez Matos che, durante una conferenza stampa, ha annunciato che abbandonava il suo posto perché era stata "ingannata" dal suo governo.Bisogna ricordare che Cuba, il Brasile e l’Organizzazione Panamericana della Salute hanno firmato un accordo per integrare i medici dell’isola nel programma "Mais médicos", una iniziativa del Governo di Dilma Rousseff per portare servizi di salute nelle aree storicamente abbandonate. In virtù di questi accordi, secondo alcuni media, i cooperanti avrebbero ricevuto fra un 25 e un 40% del totale pagato dal Brasile. Il resto sarebbe stato amministrato dal Ministero della Salute Pubblica di Cuba per autofinanziare i servizi di salute dell’isola.Cuba ha circa 40.000 cooperanti sanitari in 58 paesi del Terzo Mondo. Nella maggior parte, Cuba copre totalmente i costi e i salari. Ma nel caso di nazioni che hanno delle risorse, come il Venezuela, il Sudafrica, il Qatar o il Brasile, esistono accordi di controprestazione economica che servono, per esempio, a coprire i costi dei servizi sanitari, macchinari o acquisti di medicine per tutta la popolazione dell’isola.Le campagne di stampa contro la presenza medica cubana non sono una novità. In Venezuela, per esempio, i medici accusavano i cooperanti cubani di essere "agenti" o "spie". In Brasile, il messaggio centrale dell’attuale campagna di stampa è che sono "schiavi" del governo cubano, visto che destina ad altri fini sociali nell’Isola, una parte del compenso. Si tratta di un contrasto radicale di concetti ideologici: quello che difende uno stato socialista in un paese povero e bloccato come Cuba che, grazie alla formazione di migliaia di professionisti, sostiene un sistema di salute con entrate prodotte all’estero e, dall’altra parte, quello difeso dai mezzi di comunicazione e gli ordini dei medici brasiliani, che difendono le posizioni individualiste e non solidali dei pochi medici cubani che abbandonano l’assistenza a popolazioni vulnerabili, perché aspirano ad entrare nella selettiva classe medica latinoamericana.Torniamo allo show della dottoressa cubana. Vari mezzi di comunicazione sottolineavano che aveva chiesto asilo in Brasile. Ma si dimenticavano di chiarire dove: all’ambasciata degli Stati Uniti a Brasilia. E si dimenticavano anche di alludere a un elemento di informazione fondamentale per capire tutta questa faccenda: che la dottoressa si era appellata al così detto "Cuban Medical Professional Parole", programma dei Dipartimenti di Stato e della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti creato per accogliere come rifugiati politici i cooperanti medici di Cuba nel mondo, in qualunque ambasciata o consolato nordamericano. Questa iniziativa, insuperabile per immoralità, non è nemmeno ricordata dalla maggior parte dei media. Il portale della BBC in spagnolo, per esempio, diceva che la dottoressa "si è messa in contatto con l’ambasciata statunitense a Brasilia per (…) sollecitare un visto che Washington concede a medici cubani in terzi paesi". Ma neanche una parola sul programma citato, un vero scandalo etico.Il programma brasiliano "Mais medicos" è sostenuto –secondo un sondaggio realizzato a novembre- dal 84,3% della popolazione del paese, ed ha migliorato la popolarità della presidente Dilma Rousseff. Per questa ragione la destra brasiliana, gli ordini dei medici e la grande stampa cercano di screditarlo con ogni mezzo. I leaders del Partito Democratico, della destra brasiliana all’opposizione, si sono presentati davanti ai mezzi di informazione con questa dottoressa cubana e hanno fatto un appello al resto dei medici cubani affinché la imitassero. La stessa cosa hanno fatto vari ordini dei medici come l’Associazione Medica Brasiliana il cui presidente Florentino Cardoso, curiosamente, aveva qualificato come "scorie" i medici cubani qualche mese prima. Il quotidiano spagnolo El País ci ha messo del suo in questa campagna affermando che "La dottoressa mette in una posizione scomoda il governo di Dilma Rousseff", mentre il portale in spagnolo della BBC affermava che "La dottoressa cubana (…) è diventata un problema politico per il Brasile". Ma i dati smentiscono assolutamente qualunque propaganda. Il Ministro brasiliano della Salute, Arthur Chioro, dichiarava che gli scarsi abbandoni di medici cubani –due verso gli Stati Uniti, più altri 22 che hanno deciso di ritornare a Cuba – costituiscono una cifra "insignificante" rispetto al totale.I media insistono sulle condizioni salariali dei medici cubani e le paragonano a quelle dei loro omologhi brasiliani. Ma nel paragone fra i due paesi, dimenticano di spiegare perché il sistema capitalista in Brasile ha privato dei servizi di salute pubblica tanti milioni di persone che adesso devono essere curati da professionisti della salute socialista cubana. Il giornale spagnolo ABC scriveva che il Brasile ha appena 1,8 medici per ogni mille persone rispetto ai 4 della Spagna, per esempio. Ma dimenticava di ricordare il dato di Cuba che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute, offre la cifra più alta di tutto il mondo: 6,7 medici per ogni mille abitanti.Il giornale di Miami, El Nuevo Herald, segnalava con grande cinismo che il programma "Cuban Medical Professional Parole" del Governo degli Stati Uniti ha come obbiettivo "sabotare la diplomazia medica cubana" nel mondo. Il fatto è che, per questi media, sarà sempre molto più legittima e democratica la "diplomazia" dei blocchi, dei marines e delle invasioni con cui portare a ferro e a fuoco il progresso in tante parti del mondo.

José Manzaneda

* América Latina Uruguay Murio el  artista uruguayo Carlos Páez Vilaró Univision.com | Feb 24, 2014 | 5:55 

Fue reconocido internacionalmente con varios galardones.El artista uruguayo Carlos Páez Vilaró, reconocido a nivel internacional por sus murales y la incesante búsqueda de su hijo tras un accidente aéreo en la cordillera de Los Andes, falleció este lunes a los 90 años en su casa en Uruguay, dijo su familia a medios locales.“Los restos del artista serán inhumados en el panteón de la gremial de autores uruguayos”Pintor, escultor y constructor, Páez Vilaró se volcó principalmente a la representación de la naturaleza y la comunidad afro-descendiente en América del Sur, luego de vivir varios años en África.El artista murió de un infarto en Casapueblo, una original casa-museo-taller modelada con sus propias manos sobre los acantilados en Punta Ballena, en el exclusivo balneario Punta del Este. Fue reconocido internacionalmente con varios galardones y uno de sus principales murales, "Raíces de la Paz", considerada la pintura subterránea más larga con 162 metros, que se encuentra en la sede de la Organización de Estados Americanos (OEA) en Washington, según indica Reuters."Uruguay, América y el mundo han perdido a un artista genial, que a partir de la universalidad del arte imprimió un aura personal e inconfundible a su obra", lamentó en un comunicado José Miguel Insulza, secretario general de la OEA, recordando a Páez Vilaró como un artista "genial" y "amigo" de la institución.El artista "es más que un referente para la ciudad y para el país. Se nos va alguien que dejó un legado que será difícil de empardar", comentó el alcalde de Punta del Este, Martín Laventure, al sitio Montevideo.com.

La incesante búsqueda de su hijo Páez Vilaró también es recordado por la búsqueda de su hijo tras un accidente en avión que sufrió el equipo de rugby del colegio Old Christians en 1972 cuando atravesaba la cordillera de Los Andes, con destino a Chile.El artista nunca dio por perdido a su hijo y fue uno de los padres que insistió en continuar buscando a los muchachos desparecidos en la montaña, a pesar de que la búsqueda oficial por parte de las autoridades había sido abandonada.Finalmente y tras 72 días, el hijo del pintor fue uno de los 16 jóvenes que apareció con vida. El caso, conocido como el "milagro de los Andes", ha sido contado en libros y películas de cine.A su obra se suman extensas pinturas en hospitales en Chile y Argentina, así como en los aeropuertos de Panamá y Haití.Tras ser homenajeado en el Parlamento en agosto de 2013, el artista se definió como un "hacedor" de cosas."He sido un intento: intenté la cerámica sin ser alfarero, intenté la construcción sin ser arquitecto, intenté la pintura sin maestros, intenté la música haciendo candombe pero sin ser compositor. Soy un hacedor", aseguró entonces.

Se ne va Juan Gelman ,gennaio 16, 2014

Il 2014 ci porta la notizia di un’altra, irreparabile perdita per la poesia latinoamericana: il grande poeta argentino Juan Gelman è morto nella sua casa di Città del Messico a 83 anni. Julio Cortázar che lo ammirava, consigliava di entrare nei suoi versi come se si entrasse in un sentiero "seguendone le curve e le salite, fermandosi dove la strada sembra esitare agli incroci e riprendendo il cammino proprio come lo riannoda ciascuna poesia ricollegandosi a quella precedente"; perché la sua vasta opera poetica è tutto un interrogare la poesia e interrogarsi sulla poesia, con la convinzione che essa sia lo strumento insostituibile per scavare nella memoria, un dovere, questo, dal quale non si può esimere, come non può esimersi dal perseguitare l’ingiustizia, affrontare a viso aperto la paura, scoprire i nervi della coscienza con domande perturbanti e necessarie. Le parole di cui si è servito Gelman sono "attive e operanti", secondo Cortázar, e suscitano nuovi sensi, senza indulgere alla speranza e alla pietà. Un malinteso generalizzato ha etichettato la sua come "poesia política", eppure Gelman, nel bel discorso pronunciato quando ha ricevuto il Premio Reina Sofia ha detto: "[La poesia] va alla realtà e la fa diventare altra. Aspetta il miracolo, ma soprattutto cerca la materia che lo fa. Nomina ciò che l’ aspettava nascosto nel fondo dei tempi ed è memoria di quel che non è successo ancora. Solo in ciò che è sconosciuto canta la poesia. Che accetta lo spessore della tragedia umana, che non obbedisce al principio di realtà ma all’ordine del desiderio. Si scontra con i limiti della lingua e va oltre nell’intento di rispondere al richiamo di un amore che non cessa." In Italia si può leggere di lui Gotán e altre poesie, Guanda, 1980.

Luis Sepúlveda, celebrando nel 2008 l’attribuzione del premio Cervantes al poeta argentino, ne scriveva un sintetico ed esatto epitaffio: "Sono molte le cose, i temi e i tanghi che mi uniscono a Juan Gelman [...] Lo amo e lo ammiro per la sua rabbia tenace, costante, senza quartiere contro tutto quel che puzza di autoritarismo, di uniformi, di mediocrità bugiarda. Lo amo e lo ammiro per la sua infinita tenerezza di uomo che ha perso quanto di più amato, suo figlio, sua nuora incinta nei labirinti dell’orrore dittatoriale, e questa stessa tenerezza gli ha dato il vigore per continuare a lottare fino a riuscire a recuperare la nipote "desaparecida", fino a che l’amore è stato di nuovo abbraccio e speranza". In quella stessa occasione, scrivendo per Le Monde Diplomatique, lo scrittore cileno ricordava di aver incontrato Gelman a Piacenza, quando "Carovane", la rassegna culturale che Gianni Minà organizzava in quella città, aveva insignito il poeta argentino del Premio intitolato a Nicolás Guillén e che in precedenza avevano ricevuto Roberto Fernández Retamar, Carmen Yáñez, Mario Benedetti ed Ernesto Cardenal.

Militante comunista, poi montonero, alla fine esiliato e distante dagli uni e dagli altri, esiliato dalla dittatura militare, agita in Europa la coscienza di chi non sa o non vuole sapere cosa accade in Argentina. Fra i tanti, anche suo figlio e sua nuora vengono prelevati, torturati, desaparecidos. Torna clandestinamente in Argentina, nel 1978, per documentarne gli orrori. E’ un giornalista di gran razza e riesce a scuotere l’interesse di Olof Palme e di Mitterand ma non perdona al Cardinale Bergoglio il men che tiepido interessamento della Curia argentina. Pur potendo tornare in Argentina, indultato dal Presidente Menem, Gelman resterà in Messico fino alla morte, ma da lì combatterà la sua battaglia per sapere dove e come sono morti suo figlio Marcelo e la nuora María Claudia e soprattutto per ritrovare la nipote Macarena, nata in cattività in Uruguay, grazie al sinistro accordo fra stati dittatoriali noto come Plan Cóndor, e data in adozione. Dopo 23 anni di ricerca, nonno e nipote si sono ritrovati. La morte –e il suo vizio del fumo- gli hanno dato il tempo di vedere questo miracolo. Sarà stato sufficiente a lenire le sue inumane sofferenze?

La morte di Gelman ha avuto una grande ripercussione in America Latina sia per la grandezza del poeta che per il suo coraggio e la sua etica. Fra i molti omaggi, ho scelto di tradurre l’addio che gli hanno rivolto su Página 12, il quotidiano di cui era editorialista, gli H.I.J.O.S., l’associazione argentina dei figli dei desaparecidos che hanno combattuto e combattono affinché emerga la verità su tutte le atrocità commesse durante la dittatura militare, compresa la ricerca di tutti i figli di desaparecidos sottratti alle loro madri, poi fatte scomparire, e dati in adozione:

"Ecco che se ne va Juan, forse a una riunione con Rodolfo [Walsh], con Paco [Urondo] e con tanti altri compagni. Ecco che se ne va Juan, a raccontare a quei 30.000 che ha potuto trovare sua nipote Macarena. Se ne va Juan a raccontare ai suoi figli, Marcelo e Nora, e a sua nuora María Claudia, come è Macarena, come è quella vita che non sono riusciti ad uccidere. Se ne va Juan, in quel tempo dei passi eterni, per raccontare ai nostri padri e alle nostre madri che tutti loro sono sempre vivi nelle nostre lotte.

Se ne va il compagno, il nostro padrino, il nostro poeta a continuare a regalare parole al mondo, a continuare a guardare con occhi di dolore e di speranza. Se ne va Juan Gelman: nel posto più giusto in cui possa andare un uomo come lui. Come ogni compagno, come ogni uomo impegnato e solidale, se ne va per restare per sempre in questa terra che non trema di paura per il popolo, ma per il timore dei traditori di tanti figli della rivoluzione".

Articolo di Alessandra Riccio

Un papa que sonríe, que da las buenas tardes, que hace una broma apenas unos minutos después de recibir sobre sus hombros el peso entero de una Iglesia lastimada, que pide la bendición antes de darla, que es jesuita como tantos otros que consiguieron hacer caminar de la mano la fe y el conocimiento, que vivía en un apartamento en vez de en un palacio cardenalicio y se montaba en el transporte público para ir a confortar a los enfermos y a los pobres, un papa que hace ocho años pudo serlo y dijo que pase de mí este cáliz, un papa que viene del nuevo mundo, que tiene cara de buena persona y que elige el sencillo nombre de Francisco es una oportunidad a la esperanza.

Una agenda apretada

El nuevo Papa tenía previsto pasar la noche en la Casa Santa Marta, donde residen los cardenales durante el cónclave, y este jueves por la mañana realizar una visita privada la basílica romana de Santa María la Mayor. Por la tarde, a las cinco, celebrará una misa en la capilla Sixtina con los otros 114 electores. El cardenal Dolan ha señalado que este mismo jueves visitará al papa emérito Benedicto XVI en Castel Gandolfo.

El viernes recibirá al colegio cardenalicio en el Vaticano y el sábado se reunirá con la prensa. El papa Francisco rezará el Ángelus el domingo desde la ventanade su apartamento papal. La misa de inauguración del pontificado será el día 19.

Para los católicos y para quienes, desde la orilla de la duda o del descreimiento absoluto, desean que la Iglesia abra las ventanas y se dedique, de una vez, a remar al lado de los hombres, solo el tiempo dirá si, efectivamente, el argentino Jorge Mario Bergoglio, de 76 años, es el papa que estaba esperando el mundo, pero el miércoles por la noche, frente a Roma rezando por él en silencio, logró ganarse su oportunidad.

Hace solo dos días, cuando los cardenales, con toda la pompa y el boato de que es capaz el Vaticano, fueron entrando en la Capilla Sixtina y jurando sobre los Evangelios, no había mucho que celebrar. Las quinielas decían que para sustituir a Benedicto XVI —el papa teólogo que no pudo con las intrigas de la Iglesia— habría una pugna muy cerrada entre un cardenal italiano representante del poder y del dinero y un brasileño preferido por la curia. La única y débil esperanza era que tal vez ese cardenal estadounidense con cara de simpático y sandalias de franciscano consiguiera engatusar al Espíritu Santo. Después de Juan Pablo II, el pontífice carismático que encubrió a Marcial Maciel y sus vicios, y del fallido Benedicto XVI, la Iglesia golpeada por los escándalos del poder y del dinero necesitaba un revulsivo, pero esa procesión de hombres ancianos vestidos de púrpura no era una llamada a la ilusión. Sin embargo, este miércoles por la noche, cuando los restos del humo blanco aún vagaban por la orilla del Tíber, todas las campañas de Roma se pusieron a sonar y se abrieron por fin las cortinas del Vaticano, la sorpresa estaba allí.

El Papa —que solo tiene un pulmón, ya que perdió el otro a causa de una infección infantil— sonreía. Parecía tranquilo. Habló tranquilo. Lo primero que hizo fue dar las buenas tardes. Lo segundo, gastar una broma: “Queridos hermanos y hermanas. Sabéis que el papa es obispo de Roma. Me parece que mis hermanos cardenales han ido a encontrarlo casi al fin del mundo. Pero estamos aquí, y os agradezco la acogida”. Ya en ese momento, Jorge Mario Bergoglio, que será Papa bajo el nombre de Francisco, se había ganado a la parroquia. A la suya y a la ajena. A la suya porque estaba aquí, sobre la plaza de San Pedro, saltando de alegría, y a la ajena porque bastaba un vistazo rápido a Twitter para comprobar que muchos de los que hasta hacía un momento bromeaban sobre la relativa importancia del nombre del nuevo Papa —“será un varón, anciano y tal vez católico”— se quedaban impactados ante las buenas maneras, de párroco de pueblo más que de Sumo Pontífice, del argentino. El primer latinoamericano, el primer jesuita, el primer Francisco.

 

 

 

 

marzo 2013

  • Al fin, Justicia

    Alfredo Astiz, Jorge “El Tigre” Acosta, Ricardo Miguel Cavallo y otros quince represores recibirán su primera condena por torturas, desapariciones y asesinatos. Los hitos del juicio. Las víctimas como sujetos políticos. La violencia de género

     Por Alejandra Dandan

    Un círculo que se cierra para Martín Gras. Con los represores y con sus compañeros que no salieron de la ESMA. La certeza de Graciela Daleo de que la Justicia debe reconocer el carácter de perseguidos políticos de las víctimas. Ser mujer en la ESMA. Los relatos de quienes desnudaron situaciones de violencia sexual. La construcción de una acusación de la violencia de género. La posibilidad de pensar la ingesta de cianuro no como suicidio sino como homicidio. Rodolfo Walsh: los vecinos que hablaron por primera vez. Los cuerpos desaparecidos y, pese a que no hay cuerpos, el reclamo de que los marinos sean juzgados por homicidio. Los represores que hablaron más que otra veces. Sus mujeres. Jorge Bergoglio obligado a declarar. La individualización de cada uno de los integrantes del grupo de la Santa Cruz. El vecino que permitió probar el secuestro de Remo Berardo. Son solo algunas imágenes, algunos hitos que dejan los dos años del primer juicio oral por crímenes cometidos en la Escuela de Mecánica de la Armada, que espera la sentencia el próximo miércoles 26 de octubre.

    El juicio que empezó el 11 de diciembre de 2009 es solo uno de los tramos de la megacausa: 18 represores por 86 víctimas. El proceso resultó más largo de lo imaginado, hubo demoras por el modo en el que el Tribunal Oral No 5 diseñó el juicio y por una de las singularidades de la ESMA: es uno de los pocos centros clandestinos con supervivientes que pasaron uno, dos y hasta cuatro años secuestrados. La densidad de esos relatos le dieron al juicio otra singularidad. La sala tuvo múltiples querellas, integradas por organismos de derechos humanos que multiplicaron las voces de la acusación pero también las perspectivas. Y defensores, sobre todo privados, que a través de las intervenciones hicieron un culto al “heroísmo de los mártires”. Los más moderados hicieron gala de la teoría de los dos demonios y en general se calificaron como víctimas y perseguidos.

    El Tribunal venía de dos antecedentes preocupantes: el juicio al prefecto Héctor Febres muerto por un aparente envenenamiento a días de la sentencia y el juicio a los jefes de área, en el que absolvió a tres de los cinco acusados. El presidente del tribunal cambió, pero los antecedentes no dejaron de operar como referencias de contexto y aumentan ahora las expectativas en el tramo final.

    Las marcas

    El juicio que termina dejó marcas simbólicas y jurídicas, algunas de las cuales se terminarán de entender con el tiempo. Una se refiere a lo que se está diciendo ahora de nuevo sobre la ESMA: qué pasó en estos años con los relatos de los sobrevivientes. ¿Es la misma ESMA la que están contando ahora que la que contaron en los primeros años de libertad? ¿Qué dicen que no decían? ¿Cómo actúa el contexto?

    Durante el juicio hubo dos clases de testigos históricos: unos vienen declarando en distintos estrados desde los ’80 y otros son históricos pero dieron su testimonio por primera vez públicamente en este debate. Además, cobraron espacio voces de los llamados “testigos de contexto”, entre ellos vecinos que presenciaron operativos y hasta ahora no habían hablado, como en el caso de Rodolfo Walsh, entre los que hubo alguno que hasta ahora no sabe quién era la víctima.

    Los que vienen declarando desde antes de la Conadep dicen que entonces necesitaban probar la existencia de los centros clandestinos, de los desaparecidos o reconstruir sobre la nada los apodos y nombres de los represores. Eran prioridades. Con el paso del tiempo, muchas de estas cuestiones quedaron fuera de duda, aunque se siguen buscando víctimas e intentando identificar represores. Pero, liberados de los mandatos de la prueba, algunos parecen haber hablado de otras cosas.

    Miriam Lewin, Martín Gras, Lila Pastoriza o Graciela Daleo, por ejemplo, ya habían sido “casos testigo” en el juicio a los ex comandantes. Llegaron aquí, aparentemente, después de haberlo dicho todo. ¿Fue así? Uno de los datos que cruzaron a todos es que por primera vez hablaron frente a sus represores. Y cada uno buscó entradas diferentes.

    La declaración de Martín Gras fue una de las más extensas, duró cuatro o cinco horas y permitió sistematizar la lógica de la ESMA. Cuando terminó de responder preguntas, le preguntaron si todavía quería decir algo. Iba a decir que no, pero levantó la cara y se encontró con la mirada de Juan Carlos Rolon. Ahora está convencido de que en ese momento, 32 años después, cerró el círculo que había empezado en la ESMA.

    “Para ir a declarar intenté actualizar algún dato o nombre, pero no fue una preparación –dice–. Cuando llegué me senté, empecé a hablar y seguí hablando y sentí que no paraba. La sala desapareció, y le miraba la cara a ellos. Ver una cosa vacía, opaca... fue tremendo y al final me sentí en la obligación de contar una anécdota.” Hace 32 años –contó–, cuando lo estaban por poner en libertad, un oficial le trajo un diario en cuya tapa había una foto de un oficial de policía del gobierno del Sha en Irán que se estaba cayendo. El oficial trataba de escapar de la multitud que le arrancaba el uniforme a pedazos. “Me lo tira en el camastro. ‘¿Y eso?’, le pregunto. El me pregunta si yo pensaba si algún día podía pasar eso en Argentina. ‘No sé’, le dije, porque son avatares históricos, pero le dije además que si la pregunta era si yo pensaba que en algún momento él iba a tener que rendir cuentas, yo pensaba que sí.” El oficial le preguntó si estaba pensando en Nuremberg. Gras le contestó que no sabía qué forma iba a tener la rendición de cuentas en Argentina:

    –Pero si hubiera un juicio, ¿vos testimoniarías? –me preguntó–. Le dije que sí.

    –¿Y vos dirías que yo te torturo? –insistió.

    –Usted tortura –le dije.

    –Pero vos sabés que a mí no me gusta torturar.

    –Es cierto.

    –Sabés que cuando estoy de oficial de Inteligencia de turno, muchas veces me encierro en el camarote, apago la luz, cierro la puerta y no contesto las llamadas para no tener que torturar.

    –Es cierto, pero también es cierto que a veces te encontraron y torturaste.

    –¿Pero vos dirías eso, que a mí no me gusta torturar?

    –Sí, lo diría, pero también diría que llegado el caso torturaste.

    –Bueno, me parece bien porque entonces dirías la verdad.

    “Quiero decirle al oficial con el que tuve ese diálogo que está presente en la sala –explicó–, que he cumplido escrupulosamente con el compromiso que asumí con él en el año 1978.” Gras lo miró a la cara, pero el ex oficial bajó los ojos. “Yo sentí que estaba cerrando el círculo: había cumplido con mi palabra, contaba que esa persona no sentía placer, era torturador, no sádico, porque son cosas diferentes y, fundamentalmente, declaré la verdad con absoluta rigurosidad, que era el mandato de los compañeros.”

    Martín declaró por primera vez en 1980 en Ginebra. En la línea de relatos constantes, dice que lo que contó desde entonces –incluso algunos hechos que la prensa española no creía y sobre los que le decían que dejaran huecos vacíos porque parecían locuras que ponían en duda toda la historia– se probó: “No varió nada”, señala. “No hubo contradicciones, lo que parecía fantástico quedó confirmado por todas las investigaciones y todo se ha podido probar.” Por otro lado, lo sorprendió la “absoluta incapacidad de reflexión de los represores: no te digo algo así como un pedido de perdón, sino un atisbo de reflexión sobre los resultados que los dejaron con el rechazo de la sociedad, en un camino ciego”.

    Lila Pastoriza llegó al juicio después de mucho declarar, probar, reconstruir y con la sensación de que esta vez “no tenía que probar nada”. En ese contexto, se encontró hablando largo de los compañeros menos conocidos: “Mi intervención inicial, la que dije sin preguntas, fue sobre lo que había vivido fundamentalmente en Capuchita, las cosas, la gente que había conocido. Fue larga pero ni siquiera muy pensada, sí quería hablar de toda la gente en una etapa donde no son los casos más conocidos porque estaban relatados por otros compañeros, me dediqué a hablar sobre eso en una descripción de cómo era cada uno. Los que me escucharon me dijeron que era como si ellos vivieran en mí”.

    Lila y Graciela Daleo subrayan un eje que aparece como otra de las estructuras del juicio: la posibilidad de recuperar sus historias en términos de identidades políticas, en un escenario no sólo de época, sino y especialmente en el espacio de la Justicia.

    “En el juicio a las Juntas uno sentía que lo fundamental era dejar constancia, probar eso que había ocurrido –dice Lila–. Había que dar un primer paso y lo fundamental era decir que se habían cometido esos delitos, qué había pasado en la ESMA, quiénes habían estado implicados. Y contar: los sobrevivientes sentíamos la necesidad de contar lo que nos había ocurrido, los nombres, pero dominado por la prueba en una situación donde no se podía hablar de militancia política, había que disimularla, había una zozobra grande y situación de cierto temor porque temías que los abogados de las defensas te impugnaran por la presencia la teoría de los dos demonios.” En lo sustancial, asegura, “en este juicio no pasó y hubo una fuerte legitimación de la participación política: cada cual lo hizo a su manera, algunos orgullosamente, otros lo dijeron pero no lo levantaron, otros lo dimos como algo natural sin hacer demasiado hincapié”.

    Se notó, entre otros, en el testimonio de Daniel Cabezas, el hijo de Thelma Jara de Cabezas, que hizo hincapié en la vida de militantes políticos de la familia. Los almuerzos de los domingos atravesados por lo que cada uno hacía en sus campos de trabajo. En esa línea, Graciela Daleo está convencida de que hay algo nuevo en la lógica del perseguido político, que las querellas están haciendo hincapié en la instalación de esa situación como agravante. “Decir que hubo una persecución política y destruir la idea de que a los individuos se los llevaban aisladamente porque los nombres estaban anotados en una agenda: militantes políticos no necesariamente vinculados a una organización, hoy lo podemos decir, en el ’85 todos decíamos a lo sumo que habíamos estado en la JP porque si no íbamos en cana. Así como las compañeras pueden decir que sufrieron agresiones sexuales, también tenemos hoy una plataforma para asumir la militancia en el ámbito judicial.”

    Ministaff

    Otra característica del juicio es que por primera vez se oyeron a varios secuestrados del ministaff, uno de los espacios de supervivencia más estigmatizados. “Hablé del ministaff, de que lo creó El Tigre Acosta, del uso que le dio para reinar mientras imponía la desconfianza entre nosotros y eso le permitía mantener el poder para seguir con su proyecto. Yo, por lo menos, no elegí ocupar ese lugar”, asegura Marta Alvarez. Hay hoy una escucha distinta que habilita esos relatos.

    La fiscalía pidió, por ejemplo, el testimonio de Miguel Angel Lauletta, que, entre otras cosas, habló del operativo de secuestro de Rodolfo Walsh. Lauletta declaró varias veces en instrucción, trabaja hace años con el Equipo Argentino de Antropología Forense pero no había declarado en un juicio oral. En línea con el carácter reparatorio, poco después de empezar, dijo que para salvar a su mujer y su hijo dio los datos de una cita en la que cayeron cinco de sus compañeros. En ese momento, lloró. Cuatro de esos cinco compañeros, contó, están desaparecidos.

    Pese a todo, muchos sobrevivientes no estuvieron en esos momentos en la sala. Algunos no logran todavía escuchar estos relatos, otros los escucharon cuando desgrabaron los testimonios para los alegatos. “Fue tremendo, dice una de las históricas, siento que uno puede evaluar ahora el rol del ministaff no tan pegada a la experiencia propia, más distante y menos amenazante, que también puede ver que fueron víctimas en una situación muy difícil, anterior a la nuestra. Además, veíamos todo lo que nos había pasado a nosotros que no sabíamos en ese momento, a partir de las declaraciones de otra gente ves más en conjunto la cuestión.”

    Ellos

    La espalda de Miriam Lewin es tal vez una de las imágenes más reproducidas del Juicio a las Juntas. Ese proceso fue trasmitido sin voz ni caras, con los protagonistas de espaldas. El juicio del Tribunal Oral No 5 que terminará el miércoles tuvo imagen y voz pública solo en el comienzo y en el final, porque los jueces, amparados por una acordada de la Corte Suprema, quitaron la posibilidad de la trasmisión completa en vivo.

    La disposición de la sala auditorio de los tribunales de Comodoro Py reformó el espacio para el público presente: el testigo habla de frente a los acusados y al público. “Pasan los años y en lugar de ser más fácil, la declaración se vuelve más dolorosa, por lo menos en mi caso”, dice Miriam. “La presencia de los verdugos en la sala es una presión que no existió en el Juicio a las Juntas, nunca habíamos tenido contacto con ninguno salvo Massera que aparecía en su rol más político, no de represor. Pero verles las caras enfrentando a un tribunal fue reparador, sin embargo. A casi todos los volví a ver por primera vez en ese momento, salvo a Acosta, con quien me había cruzado en la calle varias veces. De todos modos, ellos decidieron no estar presentes en la mayor parte de las jornadas.”

abril 2011

Ernesto Sabato, l’ultimo eroe

Arte, scrittura, ma anche impegno: le indagini sui desaparecidos. L’autore argentino, di origini italiane, avrebbe compiuto 100 anni a giugno. Il rapporto con Borges

Ernesto Sabato (a destra) con José Saramago. Sabato aveva origini italiane (foto Epa / Leo La Valle)
 
È morto mentre si preparava ai festeggiamenti per i suoi cent’anni (era nato a Rojas il 24 giugno del 1911). Da tempo Ernesto Sabato s’era isolato nella sua casa di Santos Lugares (periferia di Buenos Aires), colpito severamente dalla malattia. Ripensava certo alla sua gioventù, alla laurea in fisica a La Plata, al suo lavoro presso la Fondazione Curie a Parigi, alla borsa di studio al MIT di Boston, e alla ricerca sui raggi cosmici; e poi alle sue prime simpatie per gli anarchici, e alla virata verso la letteratura, ai suoi libri, pochi ma talora imponenti, come Sopra eroi e tombe (1961), il capolavoro, o come L’angelo dell’abisso (1974) - meno voluminoso Il Tunnel (1948); e a quelli che facevano corona attorno, di critica, di riflessione (magnifiche le pagine sul tango), di ricordi, come Prima della fine (1998). Rievocava certo gli anni angosciosi trascorsi a indagare sui «desaparecidos», nella Commissione nazionale che lo aveva avuto presidente, dopo il ritorno dell’Argentina alla democrazia, e la stesura della relazione finale (pubblicata con il titolo Nunca más «mai più»). Tutti gli occhi del paese erano stati fissi su di lui, mentre le madri e le vedove dei «desaparecidos» facevano le loro ultime manifestazioni. In quei momenti, si era persino ammutolita la proverbiale, approssimativa leggenda di una sua rivalità con l’altro grande scrittore argentino, Borges, leggenda che ora si ripresenta, addirittura in queste prime ore di lutto (alludo a un articolo su «La Voz»).

Le vicende biografiche rispecchiano la vastità e varietà degli interessi di Sabato, che non sopportava di essere definito soltanto scrittore. Ricordo un nostro incontro a Washington, in cui mi espresse il suo scetticismo sul mito del progresso, citandomi, con esatta informazione, gli orrori del Medio Oriente e della Bosnia, il traffico di bambini latinoamericani, i disastri prodotti dalla globalizzazione; conosceva le statistiche sulla fame nel mondo, e si domandava se il neoliberalismo dominante sia in grado di migliorare qualcosa. Nei suoi scritti di attualità prevaleva un atteggiamento razionale, tanto razionale da sfociare nello scetticismo; ma in quelli narrativi la ragione si confrontava sempre con l’irrazionale, che pareva anzi un possibile vincitore.

Specialmente in Sopra eroi e tombe, Sabato ha inventato un antimondo sotterraneo, ostile al nostro mondo: una luminosa Buenos Aires, descritta con partecipe realismo, cela una vita sotterranea, che si svolge in caverne, pozzi, grotte, fognature, tane di mostri. L’antimondo manda oscuri messaggi, tramite creature diaboliche, spesso ciechi, visti come una setta esiziale, impegnata a scalzare la nostra ragione. Ecco insomma il Male. Sabato mette in movimento una fantasia costruttiva, che si rivela in un progetto rigoroso; ma il mondo delle tenebre, agìto da una diversa fantasia, pare voler comunicare con noi tramite magia, telepatia, messaggi enigmatici. Anche questi contengono delle verità, dato che spingono a una discesa verso le Madri, una discesa al termine della quale i tunnel e le caverne finiscono per sostituire simbolicamente l’utero. Una sessualità primigenia attira e confonde gli uomini della luce, tanto che l’incesto è la molla dei personaggi principali, attori di incesti verticali (genitori-figli) e orizzontali (fratelli), e il detonatore della tragedia finale. Ma il male non è solo registrato e censito. C’è anche, nel romanzo, una decisa apertura alla storia, presente e passata, della nazione. Il mitico generale Lavalle, vinto in una delle numerose guerre d’indipendenza dell’Argentina, compie un’epica ritirata con i suoi fedeli per sottrarsi alle truppe dei governativi; una ritirata che continuerà anche dopo la sua morte, perché le truppe di Lavalle proseguiranno, portando con loro il suo cadavere. E la lotta per la libertà che Lavalle incarnava nel passato, nel mondo contemporaneo viene da Sabato simboleggiata in Che Guevara (anch’egli argentino, si ricordi), di cui ricostruisce, con una polifonia di testimonianze, la cattura e l’assassinio.

Lo sforzo di Sabato è quello di trovare un senso alle cose. Anche il protagonista del Tunnel, Castel, vede il mondo ricomporsi e riordinarsi nel momento in cui l’amante María focalizza un particolare di un suo quadro sfuggito a tutti. Quando però la sua lucida paranoia lo porterà a uccidere María, di cui ha scoperto segreti dolorosi, ma anche fantasticato turpi moventi, il mondo ripiomberà nel caos. La ricerca del senso passa attraverso la creazione di uno stile realista e fantastico insieme. Sabato lo aveva anche asserito in termini generali: è l’arte stessa che attua la sintesi di realismo e fantasia, perché «in lei si coniugano tutte le facoltà dello spirito umano, essendo essa un regno intermedio fra il sogno e la realtà, fra l’inconscio e il conscio, tra sensibilità e intelligenza».

Cesare Segre
03 maggio 2011(ultima modifica: 04 maggio 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA

octubre 2010

« La morte di Kirchner: No llores por mi, Argentina | Principale

octubre 2010

Vargas Llosa, peruviano da Nobel 
Lo scrittore che ama la politica

Per la sua cartografia delle strutture del potere e per le sue mordaci immagini della resistenza individuale, la rivolta e la sconfitta”. Sono queste le motivazioni che hanno portato l'Accademia di Svezia ad assegnare il premio Nobel per la Letteratura 2010 al peruviano 74enne Mario Vargas Llosa, cittadino spagnolo ormai da una ventina d'anni.

Due righe in cui l'opera e la vita dello scrittore vengono riassunte e, come dire: commentate. È da anni che Vargas Llosa è il candidato numero uno tra gli autori in lingua spagnola. Snobbato ma mai dimenticato dall'Accademia, il premio sembra arrivato quando del suo ruolo da scrittore-politico, la prima parte ha inglobato la seconda. I suoi editoriali (Banchi di prova) su El pais hanno sì mantenuto le sue aperte critiche alle sinistre radicali (Hugo Chavez è il nemico numero uno), ma si sono aperte agli stati d'animo più piccoli, quasi infinitesimali. E lì, la bravura di Vargas Llosa sembra aver ritrovato lo spirito dei suoi romanzi degli anni '70 (su tutti: “La zia Julia e lo scrittore”). 
Quando da Stoccolma l'hanno chiamato per annunciargli il premio, Vargas Llosa era a New York per una conferenza alla Princeton University e, a detta di chi gli stava vicino, sulle prime ha pensato a uno scherzo. “Nemmeno mi ricordavo che era la stagione del premio”, ha dichiarato il neo-Nobel. L'ha subito dedicato alla lingua spagnola, di cui si sente rappresentante sui due lati dell'oceano. 
Ma il suo maggior pregio, politico e narrativo alla stesso tempo, è quello dello spaesamento: ogni suo libro affronta l'umanità ma da punti di vista talmente normali da risultare rivoluzionari. La “resistenza, la rivolta e la sconfitta” della menzione del Nobel ne sono una prova. Come quando, nel 2003 parlando della seconda guerra, lui – intellettuale conservatore – si schierò per il non intervento, in molti rimasero sorpresi. “Non critico l'intervento in sé – ci racconto nel salone del Grand Hotel di Rimini, ospite della Fondazione Manzù -, ma il fatto che gli Usa e la Gran Bretagna non possono pensare di esportare la democrazia senza l'avallo della comunità internazionale”. Come dire: nessuno, nemmeno gli Usa, possono farsi paladini della democrazia. Il presidente spagnolo di allora, José Maria Aznar, non gliela perdonò. Ma solo nel 2008, Vargas Llosa ritirò il suo appoggio al Partito Popolare: il progressismo continua ad essere uno dei suoi maggiori rivali politici. 
Come non gliela perdonò il presidente (poi giudicato golpista) del Perù degli anni '90, Alberto Fujimori. Convinto che la borghesia peruviana fosse pronta a una svolta “europea”, Vargas Llosa si candidò contro i militari e le sinistre per venire travolto da Fujimori. Si autoesiliò in Spagna, fino a diventarne cittadino. Da lì, ha ricostruito la sua personalità politica e quella narrativa, aprendosi sempre più a tematiche che abbandonassero i ricordi della sua infanzia raminga (e dorata), per planare sulle emozioni condivise da gran parte dei suoi lettori di ogni età.     Di Leonardo Sacchetti.

Elezioni in Brasile. Si va al ballottaggio

Posted by Vito DiVentura On ottobre - 4 - 2010

Dunque si va al ballottaggio!

Nonostante abbia votato il 99,8% degli elettori e il sostegno aperto delPresidente uscente Lula, Dilma Rousseff ha ottenuto solo il 47%, mentre il suo avversario, Jose Serra, il 32,6%. Il terzo candidato, Marina Silva, a capo del Partito dei Vedi e Ministro dell’Ambiente nel precedente governo, ha ottenuto il 19,3%. I suoi voti saranno quindi l’ago della bilancia, nel ballottaggio che si terrà il 31 ottobre.

Per niente scoraggiata la Rousseff ha risposto ai giornalisti che affronterà il prossimo turno elettorale con maggiore energia e questi giorni serviranno per spiegare meglio il suo programma elettorale.

Se dovesse vincere, diventerebbe la prima donna Presidente a guidare il Brasile che è il più grande Paese latino americano, con circa 200 milioni di abitanti e uneconomia in forte crescita. Il Brasile esporta grandi quantità e varietà di generi, dal grano alla carne, dagli aerei di lusso all’acciaio, senza tralasciare che a largo delle sue coste è stato trovato petrolio in abbondanza e gli esperti ritengono che il Brasile diventerà la prima nazione esportatrice di greggio.

Sotto la presidenza di Lula, il Brasile è diventato l’ottava forza economica del mondo e più di 20 milioni di persone sono uscite dalla più misera povertà. Grazie a questi notevoli progressi, Rio de Janeiro è riuscita a vincere sulle concorrenti e ospiterà i giochi Olimpici del 2016, che per la prima si svolgeranno in un Paese dell’America del Sud.

Tuttavia, nel recente passato, alcuni membri del suo governo e del Partito dei Lavoratori sono stati accusati di corruzione e, forse, questo e le voci che sono circolate in merito ad una riesame, in termini più liberali, della legge sull’aborto hanno inciso sulla mancata vittoria della Rousseff al primo turno.

Adesso, ci sarà la corsa ad accaparrarsi i voti della Marina Silva, che ha ottenuto più voti di quanti se ne attendesse. Probabilmente nel suo partito sono confluiti i voti dei Cristiani Evangelici che hanno reagito alle succitate voci sull’aborto.

Tutte le indicazioni portano ancora a ben sperare che nel ballottaggio la Rousseff uscirà vincitrice, ma adesso la vittoria sembra meno scontata sia perché il Social Democratico Serra, uomo politicamente potente, cambierà strategia e porrà maggiore impegno nella lotta e, comunque, entrambi dovranno addivenire ad un accordo con i Verdi.

di Vito Di Ventura

 


 

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